La povertà alimentare

I dati raccolti in questa pubblicazione mostrano che nel 2020, nella Diocesi di Rimini, c'è stata un'ampia richiesta di generi alimentari da parte delle persone e famiglie in difficoltà. Per questo motivo, quest'anno, i dati di contesto verteranno principalmente sul problema della povertà alimentare, partendo da uno sguardo sul mondo.

La povertà alimentare: uno sguardo sul mondo

La povertà alimentare si definisce come l’incapacità degli individui di accedere ad alimenti sicuri, nutrienti e in quantità sufficiente per garantire una vita sana e attiva rispetto al proprio contesto sociale. (FAO 1996)

Vi sono quindi quattro condizioni che determinano la sicurezza alimentare (FAO, 2008):

  • la disponibilità di cibo che attiene alla quantità di cibo che deve essere sufficiente a soddisfare le necessità della popolazione di riferimento. Questo significa che i livelli di produzione, stoccaggio e commercio devono garantire un’adeguata disponibilità di alimenti per rispondere alle esigenze di tutti i membri di una data popolazione;
  • l’accessibilità al cibo che riguarda la capacità della popolazione di riferimento di esprimere un’adeguata domanda di cibo e di poterne anche fruire. Le condizioni logistiche (come la presenza di strutture di distribuzione) devono permettere di accedere facilmente al cibo e, nel contempo, il reddito disponibile deve essere sufficiente per acquistare alimenti in quantità e di qualità adeguata;
  • l’utilizzabilità del cibo che riguarda la capacità di una data popolazione di utilizzare il cibo in modo tale da garantirsi una dieta equilibrata e adeguata agli stili di vita del contesto in cui vive. Qui il punto è se il cibo accessibile e disponibile sia anche utilizzabile in modo corretto perché le persone possiedono appropriate conoscenze di nutrizione di base e dispongono di acqua potabile e servizi igienico-sanitari adeguati;
  • la stabilità che attiene al fatto che il cibo sia disponibile, accessibile e utilizzabile in modo continuativo generando così una condizione di sicurezza alimentare permanente.

Il Rapporto ONU sull’alimentazione del 2020 "The State of Food Security and Nutrition in the World", afferma che nel 2019 quasi 690 milioni di abitanti del pianeta hanno sofferto la fame: un numero superiore di 10 milioni di unità rispetto all’anno precedente e di quasi 60 milioni in più rispetto a cinque anni fa.

A questi si aggiungono le tantissime persone che, a causa dell’aumento nei costi dei beni alimentari e della scarsa disponibilità di mezzi economici, non hanno accesso a una dieta sana o nutriente. In totale, sono circa 2 miliardi, nel mondo, le persone che affrontano livelli moderati o gravi di insicurezza alimentare. Il maggior numero di persone che soffrono la fame si trova in Asia, ma il fenomeno si espande a velocità maggiore in Africa. Se pensiamo che nel mondo siamo circa 8 miliardi di persone, vuol dire che 1 su 4 soffre di malnutrizione.

Il rapporto stima che entro la fine del 2020 ci saranno da 83 a 132 milioni di persone in più, nel mondo, potrebbero soffrire la fame a causa della recessione economica innescata dalla crisi della pandemia.

Il problema delle disuguaglianze

Dai dati OXFAM La disuguaglianza ai tempi del Covid-19 emerge che mille super-ricchi hanno recuperato le perdite generate dalla pandemia in soli 9 mesi, mentre per miliardi di persone più povere del pianeta la ripresa potrebbe richiedere oltre dieci anni.

Dall’inizio della pandemia il patrimonio dei primi 10 miliardari del mondo è aumentato di 540 miliardi di dollari complessivi: risorse sufficienti a garantire un accesso universale al vaccino anti-Covid e assicurare che nessuno cada in povertà a causa del virus.

Rispetto al tema delle disuguaglianze c’è anche da pensare all’assurdità dei problemi legati al cibo: il 2,3 miliardi di persone soffre di obesità o di sovrappeso, quindi se da un lato c’è chi soffre la fame, dall’altro c’è chi spende soldi per abbuffarsi o per fare diete che gli permettano di perdere peso. Questo accade perché il cibo è mal distribuito nel mondo e soprattutto perché i paesi più poveri vengono sfruttati per colture monotematiche che non permettono il sostentamento della popolazione. Basti pensare alle piantagioni di caffè, di cacao, ma anche di soia o di altri prodotti in voga per vegetariani e vegani che provocano danni perché necessitano di un’estrema quantità di terreno e di acqua. Così come per gli allevamenti di bestiame per le grandi catene di fast food che anch’essi provocano deforestazioni e di conseguenza danni alla flora, alla fauna e disturbi climatici.

Inoltre, il mercato globalizzato crea lo sfruttamento della manodopera, in diversi casi anche l’impiego del lavoro minorile, con ulteriori gravi conseguenze sulla povertà minorile ed educativa.

Da considerare poi tutto l’inquinamento prodotto dallo spostamento delle merci che, nella maggior parte dei casi vengono trasportate in aerei con un notevole rilascio di CO2.

Se da una parte c’è il tema della fame, dall’altro c’è il tema dello spreco alimentare: ARPAT comunica che in Europa il 34% di tutti i rifiuti urbani è rappresentato dal cibo, che per il suo smaltimento provoca 134 mila tonnellate di azoto e 44 mila tonnellate di fosforo. Quindi un ulteriore inquinamento ambientale e rischio climatico.

Italia: il caso dei buoni alimentari e le discriminazioni

Si stima che oltre due milioni di famiglie in Italia scivoleranno nella povertà assoluta a causa delle crisi economica determinata dalle misure di contenimento della diffusione del virus. Parliamo di un aumento di circa il 50% rispetto al dato del 2019, quando il numero di famiglie che vivevano sotto la soglia povertà assoluta era di 4.6 milioni. Per affrontare l’emergenza alimentare durante il lockdown, il Governo ha stanziato di 400 milioni di euro da distribuire agli oltre 8000 comuni italiani per l’erogazione di buoni spesa e/o l’acquisto e distribuzione di generi alimentari e beni di prima necessità, affiancati da risorse aggiuntive dei Comuni. Molte le criticità rilevate nei buoni spesa – criteri di accesso discriminatori, risorse insufficienti, modalità di accesso alla domanda non facilmente fruibili per tutti, tempi di erogazioni in certi casi troppo lunghi – nell’analisi di otto comuni in tutto il territorio nazionale (Torino, Milano, Corsico, L’Aquila, Napoli, Reggio Calabria, Messina e Catania). A fare da collante per le diverse realtà il carattere fortemente escludente dell’intervento sia a causa dei criteri discriminatori, in particolare quella della residenza, ma anche il reddito, sia dalla mancanza di risorse adeguate a far fronte alla domanda. Alla risposta di emergenza sul tema viene a sommarsi anche un vuoto di strategia del problema. La povertà alimentare in Italia appare come un settore marginale delle politiche sociali, e continua a venire vista più un sintomo che una conseguenza della povertà senza riconoscere il diritto umano ad un cibo adeguato.

Quali soluzioni adottare per non cadere nello spreco alimentare?

  • pianificare i pasti della settimana, in modo da acquistare solo i prodotti che servono;
  • acquistare poco e spesso in modo che il cibo non si deteriori;
  • acquistare prodotti locali e di stagione in modo da non incrementare lo sfruttamento di appezzamenti terreni esteri e di manodopera a basto costo;
  • prediligere i piccoli negozi rispetto ai supermercati che acquistano spesso all’ingrosso;
  • utilizzare gli avanzi creando ricette alternative;
  • condividere con chi non ha accesso al cibo o non può permetterselo.