Intervista a una donna 60enne finita in strada

Raccontami la tua storia, dove sei nata, come sei cresciuta?

Vengo dal nord Italia, la mia famiglia era composta da 8 fratelli e sorelle, io ero una di mezzo. Il problema principale era mio padre, beveva sempre e ogni scusa era buona per picchiare noi o mia madre. A scuola andavo a volte benissimo da 9, altre volte malissimo da 3 o da 0, dipendeva da quanto pensavo a mio padre, da quanto mi aveva fatto penare il giorno prima, da quanto fossi preoccupata per mia madre il giorno stesso. Ho smesso di andare a scuola al secondo anno di geometri, perché mio padre ha detto che non aveva soldi da spendere per farmi studiare e così mi sono messa subito a lavorare.

Il primo lavoro che ho fatto è stata la parrucchiera, mi piaceva molto ed ero brava, ma dopo 5 anni ho visto che le mie mani avevano delle bolle strane e anche le braccia erano tutte irritate, il datore di lavoro mi ha fatto fare le analisi e ho scoperto di essere allergica ai prodotti, per cui ho dovuto cambiare lavoro. Ho trovato lavoro in un’azienda che fabbricava tessuti dagli stracci, il mio compito era faticoso: dovevo dividere e strappare le stoffe per tipo, separarle con delle reti metalliche. Ho retto due anni e poi ho cambiato. Nel frattempo mi sono fidanzata, avevo 19 anni ed ero innamorata, la storia è andata avanti per 7 anni, abbiamo iniziato a cercare un figlio, sono rimasta incinta e ci siamo sposati, ma appena sposati lui ha cambiato atteggiamento. Ha iniziato a bere e a picchiarmi, da fidanzato non era così. Nostro figlio ha presentato sin da subito problemi mentali, ma mio marito questa cosa non l’accettava, lui si comportava con lui come se fosse normale, ma lui certi risultati non riusciva a ottenerli, per cui mio marito si arrabbiava e picchiava anche lui.

Intanto io continuavo a lavorare: baby sitter, pony express, imprese di pulizie. Lavoravo perché desideravo far studiare mio figlio, perché lui avesse una vita migliore della mia e potesse aiutare anche me. Ma tornavo a casa e mio marito trovava solo pretesti per litigare e picchiarmi, fino a quando un giorno non ce l’ho fatta più e l’ho picchiato io e l’ho buttato fuori casa. Non se lo aspettava, per cui le ha prese e non ci voleva credere che fosse finita, ma è finita davvero.

Com’è cambiata la tua vita quando ti sei separata?

Per un primo periodo io e mio figlio abbiamo continuato a vivere nella casa che avevamo comprato io e mio marito, ma era una casa troppo grande e costosa ed io non riuscivo a stare dietro al lavoro, a mio figlio e alle spese dalla casa. Ogni tanto non riuscivo a pagare il mutuo, oppure ero stanca e mandavo mio figlio a pagare le bollette, ma lui invece che pagarle usava i soldi per qualcos’altro. Così ci hanno staccato le utenze e alla fine abbiamo ricevuto lo sfratto dalla Banca. All’epoca lavoravo come portiera di un palazzo, mio figlio era sempre con me e ogni giorno ne combinava una, i condomini non lo sopportavano e, invece di capire che aveva dei problemi, sgridavano me come madre perché non lo sapevo accudire. Il Comune nel giro di 7 mesi ci ha dato una casa popolare, proprio perché io ero sola con mio figlio disabile, ma anche per lo spostamento nella casa popolare ci sono voluti quasi 1.500 euro per entrare, tuttavia con il lavoro da portiera riuscivo a sostenere le spese e non c’erano problemi. Fino a quando mio figlio non l’ha fatta grossa e non si è fatto beccare dall’amministratore di condominio, ha acceso una sigaretta con una bottiglia di alcol in mano che è esplosa facendo un grande boato in tutto il palazzo. Sono scesa di corsa dall’ottavo piano, ma è stato troppo tardi e mi hanno licenziata. Dopo ho trovato solo da fare le pulizie, ma il mio stipendio non era più fisso ed alto come prima e non riuscivo più a mantenere le spese della casa popolare, per cui sono finita in strada. Mio figlio l’ho mandato a casa dal mio ex marito ed io mi sono arrangiata.

Com’è stato vivere in strada e come sei finita a Rimini?

Mi sono fidanzata con un uomo, anche lui viveva in strada, in realtà non è andata così male, mi sono sentita finalmente libera e ho potuto viaggiare. I primi tempi siamo rimasti nei pressi della mia città, poi abbiamo scelto di venire a Rimini per vedere se trovavamo da fare la stagione, ma era già agosto e non c’era più nulla da fare. La prima settimana ho dormito in Caritas, poi dopo una settimana dovevi uscire per cui ci siamo arrangiati ad andare a dormire nei treni. Andavamo la sera, dopo che li avevano lavati, ci infilavamo in un vagone e stavamo stesi nei corridoi, era comodo perché avevi anche il bagno e al mattino potevi lavarti. Comunque eravamo organizzati, sapevamo che le docce c’erano in Caritas diocesana, dai Frati, a Riccione e a Cattolica, quindi riuscivamo a fare la doccia 4 volte a settimana e anche per il mangiare andavamo a rotazione. Durante il giorno facevamo l’elemosina nei mercati, andavamo spesso anche nelle marche. Per un periodo abbiamo dormito in una spiaggia nelle Marche in tenda, ma poi hanno provato a derubarci nella notte e abbiamo preferito tornare a Rimini e vivere nei treni. Questa vita è durata circa 4 anni. Poi sono riuscita ad essere inserita in un progetto del Comune e ora vivo in una casa in coabitazione con un’altra donna, dove contribuisco alle spese con una quota mensile.

Come hai vissuto questo periodo di Coronavirus?

Molto allarmata, 10 anni fa avevo preso la suina ed ero stata molto male, mi avevano ricoverata per diversi giorni, per cui ho avuto timore di prendermi anche questa per cui ho preso le precauzioni sin da subito. Il problema è stato il lavoro, da quando il Comune mi aveva dato la casa avevo trovato un lavoro come donna delle pulizie in una polisportiva, mi trovavo bene e mi avevano già rinnovato il contratto 3 volte, invece con il Covid mi hanno messo prima in cassa integrazione e poi in disoccupazione. Il Reddito di Cittadinanza mi è diminuito perché conteggiavano come se stessi lavorando e poi addirittura a Natale mi è finito tutto insieme: niente più disoccupazione e niente più Reddito perché erano finiti i 18 mesi. Sono stata costretta a tornare a chiedere da mangiare alla Caritas e a fare l’elemosina. In questi anni mio figlio è venuto a vivere a Rimini anche lui ed io gli ho prestato spessissimo i soldi, per la prima volta mi sono trovata costretta a chiedere io a lui un prestito.

Cosa ti aspetti per il futuro?

Spero di riuscire a tornare a lavorare fino a prendere la pensione, di poter avere una casa popolare o in affitto da potermi mantenere da sola, senza dover per forza convivere con persone che non conosco, come invece prevede il progetto nel quale sono inserita adesso.