Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII

Capanna di Betlemme

La Capanna di Betlemme è sita in via Maiano 13, a San Martino in Riparotta, Viserba (RN). I contatti sono i numeri di telefono delle persone di riferimento della casa, Livio Liguori 345.5282867 e Nicolò Capitani 333.9834149. Non ci sono dei veri e propri criteri di accesso codificati, il punto di partenza è quello di vivere una situazione di emergenza, precarietà, difficoltà abitativa o di disagio sociale e la volontà di affidarsi e camminare insieme. Le modalità di accesso possono essere il contatto e l’incontro con l’Unità di Strada, occasionalmente su segnalazione, il contatto con i Servizi Sociali (ad esempio su richiesta di assistenti sociali, dell’ospedale, ecc..), la segnalazione della rete delle associazioni sul territorio riminese o l’invio dalla rete delle strutture della stessa Comunità Papa Giovanni XXIII.

Fino all’esplosione della pandemia Covid-19 la situazione era normale. L’accoglienza, sera per sera, presso la stazione di Rimini è continuata fino al 23/02/2020 regolarmente. Nel periodo successivo la casa è stata trasformata in casa per accoglienze residenziali di medio periodo e per evitare situazioni di contagio Covid-19 e garantire comunque l’accoglienza, è stata cambiata la destinazione d’uso di una stanza dedicata, in precedenza, all’ospitalità di volontari per periodi più o meno prolungati. Stanza che ha assunto la finalità di ospitare persone che vivono una situazione di disagio e difficoltà abitativa per un periodo di alcuni giorni al fine di conferire sollievo alla vita di strada. Inoltre, tale stanza, ha acquisito l’obiettivo di accogliere persone in stato di quarantena per iniziare un periodo lungo di accoglienza alla Capanna di Betlemme, o che erano in procinto di cominciare percorsi alternativi in altre strutture. Per ogni nuova persona accolta è previsto un periodo di quarantena, oltre che un tampone all’inizio ed al termine della quarantena stessa. La stanza, con bagno adiacente ad esclusivo utilizzo degli ospiti di quella stanza, ha rappresentato la modalità con la quale la Capanna di Betlemme è rimasta una casa di accoglienza e di vicinanza alle persone che vivono in strada o in situazioni di emergenza sociale. Le altre realtà della Capanna hanno continuato normalmente, previo adattarsi alla nuova normalità attraverso i vari sistemi di precauzione contro la pandemia, a svolgere il loro operato.

Anche nel corso di quest’anno 2020, ci sono stati circa trenta volontari e volontarie che, con tampone negativo e conseguente quarantena all’entrata, hanno vissuto un’esperienza di volontariato, di tipo residenziale, in Capanna. I volontari e le volontarie sono stati sia di breve periodo, cioè da un minimo di due settimane di permanenza, sia di lungo periodo, ad ora fino ad un massimo di quattro anni. I volontari hanno un’età compresa tra i 20 ed i 50 anni. La maggior parte dei volontari di lungo periodo sono stati uomini tra i 20 ed i 25 anni, con un’eccezione di un uomo di più di 50 anni. Le volontarie di lungo periodo sono state donne tra i 23 ed i 29 anni, con un’eccezione di una donna di più di 50 anni. Mentre la maggior parte dei volontari di breve periodo sono state donne tra i 20 ed i 24 anni. Gli uomini che hanno prestato servizio alla Capanna per un breve periodo sono stati tra i 22 ed i 28 anni. Per la maggior parte si è trattato di studenti o studentesse con già una o più esperienze di volontariato precedente (ad esempio scout o altre forme di volontariato organizzato). La maggior parte di loro sono arrivati alla Capanna di Betlemme per passaparola di amici o altri volontari, mentre una minima percentuale, al termine di un percorso terapeutico, ha scelto di continuare a vivere in un contesto di volontariato.

Si sono verificati due casi positivi di Covid-19 nello stesso periodo. Le due persone risultate positive sono state trasferite in isolamento e, per la sicurezza di tutti, sia interni che esterni alla struttura, è stata posta in stato di quarantena tutta la casa, vale a dire una ventina di persone. Con tampone negativo, sia all’inizio della quarantena che dopo 10 giorni, sono state riprese le attività quotidiane.

Le problematiche riscontrate rispetto alle persone accolte molto spesso sono state legate a dipendenze, da alcol o altre droghe. In minor parte sono emerse problematiche di ludopatia. In alcuni casi tali dipendenze si sono rivelate causa o concausa dell’emergenza abitativa, in altri casi ne sono state una conseguenza. Altre situazioni frequentemente incontrate sono state quelle legate a problematiche burocratiche e a situazione di assenza di documenti o scaduti. Sia persone di nazionalità italiana, che straniera, europee o extra europee, hanno avuto problemi di documenti. Per quanto riguarda persone di origine italiana le difficoltà maggiori sono dovute alla residenza che molto raramente viene riconosciuta a persone senza fissa dimora nei comuni di interesse e la medesima difficoltà è stata riscontrata nei comuni di nascita. Per gli stranieri oltre all’ostacolo residenza, le difficoltà maggiori sono state legate ai Permessi di Soggiorno, al rinnovo di questi ultimi ed all’ottenimento di un permesso, sia di breve sia di lunga durata. Problematica legata alla precedente, residenza e documenti, è relativa al fatto che le stesse persone non sono state riconosciute ed assistite dal Servizio Sanitario Nazionale, se non per motivi di emergenza, né dai Servizi Sociali che non hanno potuto prenderli in carico considerata la mancanza di una residenza riconosciuta sul territorio. Inoltre, sono emersi, in diversi casi, problematiche legate ad uno stato di disagio o di disturbo psicologico, che in alcuni casi è sembrato essere la causa, mentre in altri, la conseguenza, di una vita di strada. Oltre a tali possibili condizioni, dipendenze e/o problematiche psichiche, altre importanti difficoltà sono state rappresentate dall’assenza di una possibilità lavorativa stabile e dalla mancanza di una rete sociale di sostegno. Sentimenti di solitudine ed un profondo senso di abbandono hanno pervaso molte persone incontrate. Altri aspetti risultavano quasi secondari, la scarsa disponibilità economia, la mancanza di una rete di servizi, le problematiche burocratiche o quelle giudiziarie. Risulta importante però lavorare su ogni singolo aspetto, che va di pari passo con gli altri ed insieme compongono la vita di queste persone, come quella di ciascuno di noi.

Il clima in Capanna è stato per lo più sereno. L’essere costretti a rimanere in casa, è stato vissuto come un’opportunità di conoscersi in modo più approfondito. Soprattutto nel primo periodo sono stati creati momenti di condivisione alternativi alla consueta routine. Una certa tensione per alcune persone accolte era da ricondurre all’impossibilità di portare avanti alcune pratiche, dovuta alle chiusure di uffici, tribunale ecc… La gestione della cucina e la falegnameria hanno aiutato sia a riscoprire le passioni di alcuni, sia ad avere una condivisione diversa e positiva tra gli accolti ed i volontari. Ci si è potuti così mettere in gioco sotto diversi aspetti ed è stato percepito un clima di maggior tensione nell’ultimo periodo del lockdown, quando si stava avvicinando un periodo più incerto, e nei momenti di quarantena.

I dati

Unità di strada

L’Unità di Strada (UDS) della Comunità Papa Giovanni XXIII è uscita in strada normalmente (una volta a settimana) fino a fine febbraio 2020 con lo scoppio della pandemia. A partire dal mese di marzo 2020, ci si è modificati anche in funzione della rete delle altre associazioni che escono in strada e si è deciso di uscire quattro volte a settimana nelle serate di mercoledì, giovedì, sabato e domenica, in orari, all’incirca, dalle 19:30 alle 24.00. Il territorio monitorato dall’UDS si è esteso dalla zona di Rimini Nord, fino ad arrivare al distretto Sud (in particolare ai comuni di Riccione, Misano Adriatico, Cattolica).

L’UDS ha contato circa quaranta volontari nel corso dell’anno 2020, con un ricambio significativo dopo i mesi estivi. Dall’inizio dell’anno i volontari, uomini e donne, hanno partecipato all’Unità di Strada in maniera sostanzialmente equivalente. Per lo più si è trattato di studenti universitari e, per la maggior parte, persone alla prima esperienza di Unità di Strada. Le volontarie avevano un’età compresa tra i 20 ed i 38 anni, a maggioranza studentesse universitarie e per lo più residenti a Rimini, mentre una minoranza proveniva dalla Repubblica di San Marino. Per quanto riguarda gli uomini, l’età era compresa tra i 20 ed i 55 anni, in maggioranza sono stati studenti universitari residenti a Rimini, alcuni provenienti dalla Repubblica di San Marino o dal Comune di Coriano. Quasi tutti avevano avuto già esperienze di volontariato legato agli scout o ad altri gruppi di volontariato organizzato.

L’Unità di Strada è stata interrotta per circa due settimane. Per poter riprendere è stata aperta una struttura nella quale vivevano i volontari impegnati esclusivamente per l’Unità di Strada.

Le strategie messe in campo per evitare contagi e contenere la diffusione del virus sono state varie. Sono state messe in atto tutte le strategie prescritte dalle norme sanitarie in vigore, come mantenere un distanziamento fisico dalle persone incontrate in strada e tra i volontari stessi e l’utilizzo costante di dispositivi DPI, quali mascherine, gel igienizzante e guanti. In alcuni casi sono state utilizzate delle tute per garantire una copertura totale dei volontari. Particolare attenzione è stata anche dedicata all’utilizzo dei mezzi di trasporto per l’Unità di Strada, non più di 2 operatori o volontari per mezzo, se non conviventi, e tutti con i dispositivi di protezione individuale, frequente utilizzo di gel per le mani e sanificazione dei mezzi prima e dopo l’utilizzo per questa attività. Successivamente sono stati distribuiti, anche tra le persone in strada, mascherine, guanti e gel disinfettante.

Tra le problematiche principali si sono riscontrate dipendenze da alcol e droga, che spesso sono risultate essere conseguenza della vita di strada. La ludopatia negli ultimi anni è risultata essere un’altra causa importante della condizione di emergenza abitativa.

Le difficoltà emerse incontrando le persone che vivevano una condizione di emergenza abitativa sono state spesso legate alla problematica di ripartire da un lavoro che potesse garantire una certa sicurezza economica. In molti casi questa difficoltà era legata all’età avanzata ed allo stato di salute compromesso delle persone incontrate. La mancanza occupazionale ha influito indubbiamente sulle difficoltà economiche, che non hanno restituito una stabilità alle persone e che di conseguenza non hanno permesso l’assunzione di impegni economici particolarmente gravosi (affitto di una camera d’albergo, di un appartamento in un residence o di una stanza in un alloggio in condivisione). Altra difficoltà importante riscontrata è quella legata ai documenti, che ha impattato sia i cittadini italiani, i quali, in mancanza della residenza, sono privati quindi di tutti i diritti legati al riconoscimento di quest’ultima; sia i cittadini stranieri, che oltre al problema della residenza o del domicilio vivevano una condizione precaria legata alla mancanza o alla difficoltà di ottenere un permesso di soggiorno regolare, di rinnovarlo o di cominciare le pratiche per essere riconosciuti in Italia. Tali difficoltà burocratiche e legate ai documenti hanno reso difficoltosa la copertura da parte del Servizio Sanitario Nazionale, la presa in carico da parte di alcuni servizi fondamentali per chi viveva uno stato di marginalità (es. assistente sociale, SERT, Centro Dipendenze Patologiche Alcol e fumo) ed anche l’accesso a quegli ammortizzatori sociali e di sostegno economico creati proprio per sopperire a una situazione di difficoltà economica. In alcuni casi anche le problematiche giudiziarie hanno acquisito un peso importante.

La solitudine ed il sentimento di emarginazione sono stati rilevati come conseguenza di una condizione di emergenza abitativa ed economica, problematiche importanti che hanno influito sulla vita delle persone incontrate. In alcuni casi tali difficoltà hanno pesato enormemente sull’equilibrio psicofisico delle persone che tendevano ad abbandonarsi a sé stesse e hanno avuto sempre più difficoltà a costruire delle relazioni sane in un contesto ed in un ambiente che non fossero quelli in cui vivevano quotidianamente. Le difficoltà relazionali hanno risentito spesso di legami disfunzionali con il nucleo famigliare di origine o di relazioni violentemente interrotte o caratterizzate da ripetuti abbandoni e rifiuti.

L’Unità di Strada, ha realizzato come prima azione l’incontro con le persone, in una fase iniziale di conoscenza e di inserimento all’interno del programma di visite settimanali. Azione fondamentale che può dare inizio ad una relazione che può protrarsi nel tempo, a prescindere dagli aiuti concreti che la persona incontrata riceve. In seconda battuta le azioni svolte sono state legate alle necessità che tali persone esprimevano. Sostegno emotivo, compagnia, dialogo, ascolto, sostegno per pratiche burocratiche o per l’accesso ai servizi, acquisto di biglietti di treni o mezzi per tornare nel proprio paese o città di residenza, accompagnamento a percorsi di rimpatrio assistito, distribuzione di coperte, indumenti, cibo e bevande calde, materiale DPI.

Il potenziamento di tale attività a quattro uscite settimanali è stato realizzato anche per far fronte alla difficoltà di organizzare una pronta accoglienza, alla chiusura dei dormitori della zona ed al ridimensionamento delle mense a servizio delle persone più bisognose a causa delle misure di contenimento dell’emergenza Covid-19.

Inoltre, per molte persone, hanno continuato a non essere disponibili le proprie principali strategie di sostentamento (collette, piccoli lavori occasionali, solidarietà di persone singole o esercizi pubblici ecc…) aggravando la situazione di emergenza e bisogno a cui trovare risposte e soluzioni.

Si sono aggiunti alcuni interventi straordinari, su richiesta di alcune persone, per soddisfare alcuni bisogni primari come, ad esempio, distribuzione di generi alimentari, anche sotto forma di pacchi viveri preparati dall’associazione, vestiti invernali e scarpe, effetti per la cura e l’igiene personale, valigie e zaini, un numero straordinario di sacchi a pelo e coperte, materiale sanitario di prima necessità e piccole medicazioni di pronto soccorso.

Da segnalare che, con la limitazione invernale delle ore di luce solare e l’abbassamento delle temperature serali, si è rilevata una tendenza delle persone che vivono in strada a ritirarsi per la notte molto presto, in alcuni casi già dalle ore pomeridiane, rendendo relativamente più difficoltoso l’incontro da parte degli operatori e dei volontari nelle ore serali, considerati anche i tempi di spostamento essendo il territorio da coprire con molto ampio.

Questa difficoltà è stata in parte affrontata spostando alcuni interventi in orari diurni.

È continuata frequente la richiesta di un servizio docce, mentre le risposte a questo bisogno sono rimaste purtroppo non sufficienti a soddisfare tutte le domande ed è continuata la necessità di un servizio di lavanderia. Per ovviare a tale bisogno la tendenza rilevata è quella di rivolgersi ai servizi di distribuzione indumenti e biancheria per ottenerne regolarmente di nuovi di fronte all’impossibilità di lavare quelli in possesso.

In molti casi l’UDS ha provato a suggerire alternative, come percorsi di recupero per dipendenze patologiche o in altri casi accoglienza in struttura, come la stessa Capanna di Betlemme. Alcune di queste necessità che prevedevano azioni più ampie e di rete sono state discusse in equipe allargata.

Albergo Sociale

Il progetto “Albergo Sociale” si è sviluppato all’interno del contesto territoriale riminese presso una struttura esistente e già operativa per tutta la durata dell’anno.

La struttura “Stella Maris” ha ospitato gruppi, parrocchie, movimenti, famiglie, case famiglia e associazioni per ritiri, incontri, vacanze e campi di condivisione dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII e non solo.

La struttura ha ospitato anche durante questa annualità alcune persone attraverso due modalità sostanziali: l’Albergo Sociale e l’abituale clientela presente per turismo, in particolare durante il periodo estivo, composta soprattutto da gruppi e famiglie legate alla Comunità Papa Giovanni XXIII, da associazioni, enti o persone legate ad eventi durante tutto l’anno.

La prima esperienza progettuale dell’Albergo Sociale è iniziata nell’anno 2013 ed è proseguita fino al momento attuale. Le attività realizzate durante l’anno 2020 hanno avuto come obiettivo principale l’accoglienza di nuclei familiari in situazione di disagio abitativo, residenti nel Comune di Rimini e inviati direttamente dai Servizi Sociali del Comune. La maggior parte di tali nuclei ha avuto problemi di carattere abitativo, lavorativo, psicologico e sanitario. Durante il periodo di accoglienza presso la struttura, all’interno del progetto, è stato costantemente valorizzato, per quanto possibile, lo stare insieme ed è stato offerto ai nuclei accolti un sostegno su più livelli che ha previsto un accompagnamento di tipo socio-relazionale, burocratico, amministrativo ed organizzativo.

L’Albergo Sociale ha impiegato operatori professionali che hanno accompagnato gli ospiti, sostenendoli nel difficile momento che si sono trovati ad affrontare; grazie a loro è stato possibile stabilire relazioni di carattere significativo per il proprio percorso di reintegrazione sociale.

Il progetto “Albergo Sociale” è stato proposto attivamente dal Comune di Rimini, come risposta al disagio abitativo che ha coinvolto, nell’anno 2020, otto persone, delle quali sette uomini ed una donna, sette delle quali con nazionalità italiana, una con nazionalità italo-eritrea, sei dei quali con un’età compresa tra i 60 ed 67 anni, una persona di 54 anni ed una di 46.

Le condizioni che hanno portato le persone accolte all’ingresso in struttura come utenti attivi del progetto sono state: sfratto, ordinanza di sgombero, condizioni di più generale fragilità e bisogno di appoggio abitativo per un tempo utile alla risoluzione delle problematiche che hanno determinato la transitoria condizione di fragilità.

Si è rilevato che la maggior parte delle persone ospitate sono rimaste inserite in progetto per tempi lunghi, a causa della difficoltà ad accedere ad altri tipi di percorsi di maggiore autonomia. Il tempo di permanenza richiesto per ognuno ha avuto la durata necessaria per un migliore inserimento dei beneficiari del progetto all’interno della vita e del tessuto sociale. Degli otto nuclei accolti, sette hanno avuto un soggiorno di una durata superiore ai dodici mesi, l’ultimo ingresso in struttura è avvenuto nel mese di febbraio 2020 ed al 31/12/2020 quattro di essi erano ancora presenti all’interno del progetto.

Gli operatori ed i volontari della Comunità Papa Giovanni XXIII, presenti in struttura 24 ore su 24 hanno avuto parte attiva nella gestione del progetto dell’Albergo Sociale ed hanno accompagnato gli ospiti all’interno della struttura e per tutto il periodo di accoglienza e sono stati per loro un riferimento sempre presente e disponibile per la risoluzione dei problemi interni alla struttura.

Come ulteriore misura di prevenzione e contenimento del contagio da Covid-19, a partire dal mese di marzo 2020, tutti i beneficiari del progetto sono stati alloggiati in stanze singole in modo tale da salvaguardare il più possibile la salute di ognuno. Nessun caso positivo al Covid-19 si è verificato tra gli ospiti della struttura.

I rapporti personali di ogni singolo nucleo con il tutor hanno presentato caratteristiche peculiari di familiarità e fiducia. In ogni situazione si è risposto in modo attivo alle richieste delle persone accolte, coinvolgendo gli ospiti stessi nell’organizzazione e nella realizzazione di soluzioni. In numerose occasioni il tutor ha accompagnato personalmente i nuclei famigliari ed ha svolto la funzione di mediatore e facilitatore sociale con le istituzioni o singole persone di contatto.

Delle otto persone accolte nel progetto dell’Albergo Sociale nell’anno 2020, tre erano in carico allo Sportello Sociale del Comune di Rimini, tre al Servizio Anziani del Comune di Rimini, una al SerT ed una al Centro di Salute Mentale.

Cinque persone hanno beneficiato del Reddito di Cittadinanza, una persona ha beneficiato della pensione di invalidità, cinque persone hanno ottenuto il sussidio del bonus spesa.

Gli operatori hanno accompagnato e sostenuto gli ospiti nell’organizzazione dei propri percorsi verso l’autonomia, continuando a farlo, in diversi casi, per lunghi periodi anche successivamente all’uscita dalla struttura. Nessuno degli otto nuclei familiari accolti nel corso dell’anno è tornato a vivere in strada o in una situazione abitativa precaria, sebbene di una persona, che ha interrotto il progetto per propria volontà, non si abbiano al momento informazioni precise riguardo al progetto di vita intrapreso una volta lasciata la struttura.

Housing First

L’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII ha collaborato con il Comune di Rimini nell’esperienza “Housing First”, fin dalle prime sperimentazioni nel 2014. Con il finanziamento del Progetto INSIDE, dall’anno 2018, si è potuta ampliare l’utenza del progetto ed è nata la collaborazione con Caritas Rimini ODV che ha messo a disposizione un’operatrice. Il progetto “Housing First” si propone come finalità quella di offrire la possibilità, a persone senza dimora stanziali nel territorio di Rimini, di reintegrarsi nel tessuto sociale attraverso l’inserimento in abitazioni autonome che consentano loro di acquisire nuovamente lo status di cittadini partecipi ed attivi in società. Il progetto, nello specifico, è rivolto a persone sole, con problematiche di disagio psico-sociale e difficoltà nella sfera affettivo-relazionale, con alle spalle lunghi trascorsi di marginalità. I beneficiari sono stati individuati tra coloro ch,e oltre a rientrare nella categoria ETHOS (vita di strada– sistemazione di fortuna – senza abitazione fissa che si spostano tra i vari dormitori – sistemazione di lunga durata di natura transitoria e non adeguata), sono stati stabili sul territorio da lungo tempo. Particolare attenzione è stata rivolta agli ultracinquantenni con problematiche di salute fisica o psichica. Durante il 2020 il progetto è proseguito continuando ad essere strutturato su percorsi di housing e co-housing.

L’annualità di riferimento si è caratterizzata per alcune difficoltà dovute alla pandemia da Covid-19, che hanno portato a cambiamenti significativi nelle modalità operative. Si è passati da una relazione basata su incontri periodici in presenza ad una relazione portata avanti anche attraverso modalità telematiche e telefoniche. Questo fino agli inizi dell’estate 2020 quando, grazie all’allentamento delle misure di contenimento della pandemia, è stato possibile gradualmente ritornare ad una relazione in presenza con i dispositivi di protezione individuale. Tali novità hanno portato a modificare con notevole difficoltà la routine di alcune persone accolte nel progetto, mentre altre sono riuscite ad accettare i cambiamenti in maniera graduale. Nessuno degli ospiti è stato colpito da Covid-19.

Dopo i primi mesi dell’anno si sono portati a termine alcuni importanti cambiamenti: due beneficiari, per motivi diversi, hanno concluso il proprio percorso all’interno del progetto. Nel primo caso l’ospite si è dimostrato incompatibile con una coabitazione e per tale ragione si è valutato un accompagnamento alla conclusione del progetto e ad una presa in carico da parte del servizio CSM. Nel secondo caso, invece, l’ospite è uscito dal progetto poiché risultato beneficiario di un alloggio ERP. Nessuna persona accolta nel progetto ha interrotto il proprio percorso tornando a vivere in strada. Inoltre, sempre nella seconda metà dell’anno 2020, si sono portati a termine sei agganci di persone nuove. In aggiunta, a fine 2020, un’altra persona è risultata assegnataria di un alloggio ERP. Tale passaggio ha causato diverse difficoltà all’ospite che però, dopo un lungo percorso di accompagnamento, si è presupposto che sarebbe riuscito ad andare a vivere in autonomia nella propria abitazione nei primi giorni del 2021. Considerati i cambiamenti sopra citati, i beneficiari inseriti nel progetto a fine del 2020 sono diciotto, di cui tredici uomini e cinque donne, tredici persone di nazionalità italiana e cinque straniera. Sono stati inseriti in dieci appartamenti, tutti messi a disposizione da ACER. L’età del 90% delle persone accolte era compresa tra i 54 ed i 68 anni, una persona aveva 46 anni, mentre un’altra 77. Quindici persone hanno beneficiato del Reddito di Cittadinanza o lo hanno richiesto, una persona ha beneficiato del Reddito di Emergenza.

Gli operatori hanno riscontrato una serie di difficoltà da parte dei beneficiari ad intraprendere importanti cambiamenti, soprattutto nella fase iniziale, come ad esempio il traslocare in un nuovo alloggio, attività che ha richiesto un notevole impiego di tempo e risorse. In tale fase delicata gli operatori hanno garantito un significativo supporto logistico e psicologico agli interessati. Inoltre, le difficoltà ad affrontare il cambiamento (relazioni, luoghi di interesse per reperimento beni di prima necessità) si sono accentuate per le persone che hanno dovuto affrontare l’uscita dal progetto HF per andare in autonomia in una propria abitazione ERP. Per tali ragioni si è valutata l’importanza di un graduale accompagnamento verso l’autonomia che in alcuni casi è proseguito anche dopo la conclusione e l’uscita dal progetto.

Un aspetto rilevante che si è riscontrato quest’anno è stata la fragilità sanitaria che ha caratterizzato gli ospiti del progetto; infatti, la selezione degli stessi è avvenuta anche tenendo in considerazione la loro condizione di salute, dando priorità ai casi più delicati. Solo durante la seconda metà dell’anno 2020, sei persone sono state ricoverate per situazioni gravi delle quali la maggior parte, ancora a fine anno, si trovavano sotto osservazione per approfondimenti e controlli di routine.

L’équipe interna è formata da quattro operatori HF: tre della Papa Giovanni e una della Cooperativa Madonna della Carità (Caritas diocesana), si tratta di operatori che svolgono anche l’Unità di Strada, il responsabile dell’accoglienza “Capanna di Betlemme” e di un’operatrice del Centro di Ascolto della Caritas diocesana; ma sono stati coinvolti anche giovani volontari e tirocinanti di entrambe le realtà associative; in momenti significativi dell’anno, è stata presente anche la Presidente della Caritas Rimini ODV. L’equipe si è riunita con cadenza settimanale ed ha contribuito al monitoraggio delle situazioni in essere ed all’aggancio degli ultimi beneficiari. Altre figure possono essere considerate membri dell’équipe anche se la loro partecipazione è avvenuta tramite consulenza: un legale, un medico-psichiatra, grazie al quale è stata effettuata più volte una supervisione dei casi, ed una psicologa che invece ha condotto la supervisione degli operatori. Questa conformazione dell’equipe, basata su membri che hanno costruito la propria esperienza grazie all’impegno nel progetto HF e consulenti esperti in queste tematiche, ha permesso, grazie all’intensa frequenza degli incontri ed al confronto costante, di migliorare sempre di più la propria capacità di intervento in situazioni delicate.

Con cadenza mensile, a volte anche settimanale, gli operatori si sono incontrati con i Servizi sociali del Comune e/o con i servizi sociali dell’Ausl per monitorare costantemente il progetto e per prendere decisioni rispetto a situazioni specifiche e delicate nei confronti di alcuni ospiti particolarmente fragili.