Progetti SAI (Sistema Accoglienza e Integrazione) e CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria)
La Cooperativa sociale “Madonna della Carità” gestisce, nell’ambito dell’accoglienza delle persone migranti, due centri per l’accoglienza straordinaria, il progetto SAI “Rimini Porto Sicuro”, di cui è ente titolare il Comune di Rimini e, in collaborazione con la cooperativa “il Millepiedi”, il progetto SAI “Provincia di Rimini: Terra d’asilo per un’accoglienza diffusa”, di cui è ente titolare il Comune di Riccione.
Le modifiche normative introdotte dal D.L. 21 ottobre 2020, n.130 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare) hanno consentito l’accoglienza in tale tipologia di progetto, oltre che dei titolari di protezione internazionale, anche dei richiedenti protezione internazionale e dei titolari di altre tipologie di Permessi di Soggiorno (cure mediche, protezione sociale, violenza domestica, grave sfruttamento lavorativo, ecc.). Possono essere accolti anche gli stranieri affidati ai Servizi sociali al compimento della maggiore età.
Nell’ambito del SAI sono previsti due livelli di servizi di accoglienza; al primo accedono i richiedenti protezione internazionale; al secondo, finalizzato all’integrazione, accedono tutte le altre categorie sopra elencate.
I Centri di Accoglienza Straordinaria accolgono invece persone richiedenti protezione internazionale, fino alla conclusione dell’iter della loro domanda di asilo
Il progetto SAI “Rimini Porto Sicuro” dispone di 40 posti, suddivisi in 6 unità abitative.
Sono stati accolti principalmente uomini singoli, ma anche 3 nuclei familiari mono-genitoriali: due costituiti da mamma e figlio, il terzo da mamma con due figli.
L’età media delle persone accolte nel 2020 è di 25 anni.
Nell’arco del 2020 sono stati effettuati 24 nuovi inserimenti; si tratta di cittadini stranieri con la protezione internazionale provenienti principalmente da Nigeria e Pakistan, nonché da altri Paesi quali Afghanistan, Eritrea, Mali, Gambia, Somalia, Sudan, Egitto e Camerun.
Sono state dimesse 28 persone che avevano terminato il loro progetto di accoglienza.
I posti rimanenti sono stati occupati da persone inserite già dall’anno precedente.
A conclusione del periodo di permanenza nel progetto, 17 beneficiari hanno ottenuto un contratto di lavoro, 20 hanno potuto reperire una soluzione abitativa autonoma, 3 sono stati accolti da famiglie riminesi, 3 si sono traferiti all’estero, 2 sono stati “promossi” come operatori di struttura.
Il progetto SAI “Provincia di Rimini: Terra d’asilo per un’accoglienza diffusa”, per la parte gestita dalla Cooperativa “Madonna della Carità”, conta un totale di 12 posti, suddivisi in 3 appartamenti, due situati a Morciano di Romagna e uno a Riccione.
Sono stati accolti solamente uomini singoli. L’età media delle persone è di 28 anni.
Nell’arco del 2020 sono stati accolti 7 persone, tutte titolari di protezione internazionale, provenienti da Eritrea, Gambia, Iran, Costa d’Avorio, Pakistan, Marocco e Guinea.
Sono state dimesse 4 persone al termine del loro progetto d’accoglienza.
Dei beneficiari ancora in accoglienza, 4 lavorano con un regolare contratto, 2 stanno svolgendo un tirocinio formativo in azienda, gli altri seguono percorsi formativi o corsi di lingua italiana.
Nell’ambito del progetto di accoglienza straordinaria nel 2020 sono state accolte 33 persone su 35 posti disponibili. Si tratta di uomini adulti, con un’età media di 24 anni. I Paesi di provenienza sono principalmente Ghana, Nigeria e Pakistan, oltre a Gambia, Senegal, Costa D’Avorio, Guinea, Mali, Sudan e Bangladesh.
Nove persone sono state dimesse, in seguito al riconoscimento di una forma di protezione e con un titolo di soggiorno, mentre una si è allontanata volontariamente prima della conclusione del suo progetto d’accoglienza. Tra i dimessi, 4 lavorano con un regolare contratto e hanno trovato una soluzione abitativa autonoma, 2 sono stati accolti in un progetto SAI, 3 si sono trasferiti all’estero.
Nei confronti dei beneficiari sono state intraprese azioni diversificate, volte alla loro graduale autonomia e inclusione, attraverso percorsi di tutela della loro salute, supporto legale, orientamento al lavoro, formazione linguistica e professionale, attivazione di tirocini formativi, accompagnamento ai servizi territoriali, ricerca di soluzioni abitative, attività di mediazione linguistico-culturale, iniziative di sensibilizzazione, attività ricreative e sportive. Relativamente ai nuclei familiari, gli operatori si sono dedicati soprattutto alla tutela dei minori (servizi socio-sanitari ed educativi), a percorsi di autonomia per le madri, all’acquisizione di strumenti per la gestione della vita familiare, all’orientamento e al supporto nel reperimento di opportunità di lavoro consone alla loro particolare situazione.
Anche successivamente alla conclusione dei progetti di accoglienza, le persone hanno continuato a mantenere buone relazioni con gli operatori, ricevendo in alcuni casi supporto per far fronte ad alcune esigenze, quali il rinnovo, la conversione del titolo di soggiorno o il ricongiungimento familiare.
Le difficoltà riscontrate dopo la fine del periodo di accoglienza sono diverse e riguardano soprattutto il reperimento di un’abitazione.
Questo problema è riconducibile soprattutto al sentimento di diffidenza nei confronti dei migranti che, spesso, non possono contare su relazioni sociali consolidate che potrebbero supportarli nel trovare un alloggio. Infatti, è grazie all’aiuto dei connazionali che il più delle volte riescono a risolvere almeno temporaneamente il problema abitativo.
In quest’ottica, sarebbe importante favorire la costruzione di reti sociali più allargate che possano contribuire al raggiungimento dell’autonomia delle persone una volta fuoriuscite dal circuito di accoglienza, partendo proprio dalla sicurezza di un luogo sicuro come la casa.
I progetti durante la pandemia
La diffusione del virus ha reso più difficile lo svolgimento di molte attività volte all’integrazione e alla socializzazione che normalmente vengono portate avanti durante i progetti di accoglienza e hanno reso dunque necessario ripensare l’organizzazione dei servizi e delle azioni proposte nonché le modalità di relazione con i beneficiari progettuali. I mesi di lockdown hanno sicuramente accentuato tale problematica e hanno costretto gli operatori a intensificare le relazioni con le persone accolte, costrette a rispettare tutte le restrizioni imposte, che comunque manifestavano evidenti esigenze di supporto e di informazione continua su quanto stava succedendo.
Durante questi mesi, anche i beneficiari dei progetti hanno dovuto modificare il loro stile di vita e il loro comportamento, uniformandosi alle disposizioni vigenti. Per loro questo ha significato soprattutto la drastica riduzione delle opportunità di instaurare nuove relazioni sociali e di consolidare quelle che stavano maturando, impedendo di vivere normalmente la quotidianità in termini di socializzazione e di capacità di costruire reti di supporto significative.
Nonostante ciò alcuni beneficiari sono riusciti a trovare una “chiave di lettura” positiva per poter fronteggiare le difficoltà precedentemente esposte. Ad esempio, L. ci ha raccontato come ha impiegato parte del proprio tempo: “Ho cercato di guardare il lato positivo. A me piace molto leggere e scrivere. Ho fatto cose che normalmente non ho il tempo di fare. Ho scritto tante cose. Molte poesie”.
La quotidianità dei beneficiari trascorsa, come per la maggior parte di noi, principalmente all’interno delle loro abitazioni. Riferisce G.: “Durante il periodo della pandemia sono stata molto tempo in casa ed uscivo solamente per andare a fare la spesa al centro commerciale”, mentre H. afferma: “Restare in camera senza poter uscire non è stato semplice. Il cellulare mi ha aiutato a combattere la noia. Ho guardato film e partite di calcio”.
È stato indispensabile acquisire nuove abitudini, molte riferite all’igiene personale e alla sanificazione degli ambienti, in particolare degli spazi comuni. Gli operatori hanno organizzato incontri frequenti con i beneficiari dei progetti per illustrare loro le disposizioni che si susseguivano con continui aggiornamenti in base alla situazione dei contagi. Sono stati momenti importanti anche per riflettere complessivamente sulla situazione che si stava affrontando, per conoscere le loro impressioni, sensazioni e pensieri e per confrontarsi rispetto a dubbi, incertezze o paure. Sono stati mantenuti rapporti quotidiani nelle loro abitazioni, per ridurre il senso di solitudine e di isolamento che si sarebbe potuto manifestare in un periodo così complesso e inedito.
Il punto di vista degli ospiti
Abbiamo chiesto ai nostri ospiti come hanno vissuto il periodo di pandemia durante il 2020.
L. ha risposto: “È stato un periodo molto difficile. È cambiato il mondo. Il virus lo sta ribaltando, lo sta buttando giù. Sono fortunato perché sono in un progetto che mi aiuta. Mi serve per pensare meno alle cose negative di questo momento molto brutto. Altrimenti, per me sarebbe stato davvero difficile, senza un posto dove dormire. Tante persone non hanno un posto dove vivere, soldi per mangiare. Ringrazio le persone che lavorano negli ospedali per aiutarci. È molto importante rispettare le regole per proteggerci. Sono molto triste perché è difficile trovare lavoro”.
G. ha aggiunto: “Durante il periodo di pandemia io ero nel progetto e mi sentivo sicura, perché sapevo che se mi fosse successo qualcosa o se avessi avuto bisogno ci sarebbero stati gli operatori ad aiutarmi”.
Anche M. ha voluto esprimere il suo pensiero: “Sapere che c’erano delle persone che mi aiutavano se avevo bisogno di qualcosa, mi ha fatto sentire più tranquillo”.
Da queste riflessioni si può comprendere come i progetti di accoglienza siano stati per i beneficiari un’opportunità importante che ha dato loro maggiore serenità per fronteggiare una situazione emergenziale che ha colto tutti impreparati.
Rispetto alle attività di tipo formativo che i progetti normalmente realizzano, il periodo di pandemia ha inciso in maniera altrettanto importante.
I corsi per l’apprendimento della lingua italiana sono stati svolti in modalità online (didattica a distanza). Oltre alla necessaria esigenza di riorganizzazione logistica (allestimento di postazioni informatiche nelle abitazioni, composizione diversificata dei “gruppi classe”, assistenza degli operatori, ecc.) per rendere le lezioni più efficaci, questo ha comportato una trasformazione nei meccanismi di apprendimento e di interazione con le insegnanti. Comprensibilmente, inizialmente sono sorte molte difficoltà nel mettere a punto la nuova modalità e nel renderla una prassi “normale”; inoltre, è stato molto difficile assicurare il confronto frequente e la relazione diretta con le insegnanti che è fondamentale per il miglioramento delle competenze e la crescita personale. Vista da un’altra prospettiva, è stata un’occasione per tutti di migliorare nella conoscenza e nell’utilizzo degli strumenti informatici e per confrontarsi con modalità di apprendimento che saranno sempre più diffuse. Nel complesso, pertanto, si è dimostrata un’esperienza positiva, anche se l’impossibilità di relazionarsi fisicamente tra le persone è un gap che non si compensa. Conferma E.: “Fare scuola al computer è difficile. In classe è più facile e più bello. Posso parlare con l’insegnante, fare domande se non capisco bene e stare insieme agli altri ragazzi”.
L’ambito della formazione professionale si è rivelato ancora più complesso da affrontare. L’offerta di percorsi formativi da parte degli enti del territorio hanno subito interruzioni per lunghi periodi o, comunque, non potevano garantire, nella generale situazione di incertezza, una continuità adeguata alle esigenze di apprendimento.
Gli operatori hanno tentato di compensare queste difficoltà organizzando una formazione online. Alcuni beneficiari hanno seguito corsi a distanza e la DAD è stata utilizzata anche da coloro che stavano svolgendo il servizio civile volontario. Pur con tutte le evidenti criticità, perseverare nel portare ugualmente avanti le attività ha comunque consentito di mantenere vivi i rapporti interpersonali e di assicurare una continuità nei percorsi di formazione intrapresi.
M. semplifica quanto appena descritto: “Ho cercato delle opportunità per tenermi impegnato. Sto seguendo un corso per diventare volontario della protezione civile. È difficile imparare tante cose nuove, ma mi piace farlo”.
La ricerca di opportunità di lavoro ha subito un importante rallentamento nel periodo di lockdown, per poi riprendere gradualmente con l’allentamento delle misure di restrizione durante i mesi estivi che hanno fatto intravedere un miglioramento della situazione complessiva.
Oltre ad un aumento delle possibilità di trovare occasioni di lavoro e di formazione, è stato possibile organizzare alcuni momenti insieme, sempre nel rispetto delle prescrizioni, che hanno contribuito a ricreare un clima di normalità. Ad esempio, a giugno è stata realizzata una piccola cerimonia per la consegna dei diplomi ai ragazzi che avevano concluso positivamente il loro percorso scolastico e formativa, mentre a luglio una piccola festa di compleanno per uno dei bambini accolti; piccoli segni di ripresa nelle relazioni tra persone, per trascorrere qualche ora in serenità e favorire la conoscenza reciproca.
Non è stato possibile, invece, organizzare iniziative che potevano prevedere un’abbondante partecipazione di persone come la “Giornata mondiale del rifugiato”. Per l’occasione, si è deciso di realizzare un cortometraggio sui temi dell’accoglienza e dell’integrazione (L’attesa di Daouda), diffuso sui social media, oltre a un video in cui alcuni ragazzi dei progetti di accoglienza hanno raccontato in brevi interventi la loro esperienza durante il periodo di quarantena e il loro modo di affrontarla (Work in progress).
Il periodo autunnale e invernale ha provocato un ulteriore aumento dei contagi e conseguentemente delle restrizioni, che hanno portato a dover rimodulare l’organizzazione delle attività come era avvenuto prima del periodo estivo.
Nonostante le precauzioni adottate, alla fine dell’anno nelle strutture di accoglienza più grandi alcune persone sono state contagiate dal virus, fortunatamente con sintomi molto lievi. Sono state intraprese tutte le azioni previste in questi casi (isolamento per i positivi e quarantena fiduciaria per tutti gli altri conviventi), fino a completa guarigione.
Gli operatori hanno provveduto alla loro assistenza, cercando di soddisfarne tutte le esigenze più impellenti, come la spesa alimentare o l’approvvigionamento di prodotti per la sanificazione, mantenendo con loro una relazione continua, sia per monitorare l’evoluzione della malattia che per ridurre il senso di isolamento. Tutto si è risolto in modo sereno e in uno spirito di collaborazione.
M. ha vissuto questa esperienza con senso di responsabilità: “Sapere che avrei dovuto affrontare un periodo di quarantena non è stato facile. Parlare con il mio medico che mi ha spiegato le regole e cosa avrei dovuto fare mi ha aiutato. Ho capito che era importante per me e per la mia salute”.
Rispetto alla situazione presente alle aspettative per il futuro, G. ha espresso alcuni timori per sé e suo figlio: “La mia preoccupazione principale era di riuscire a trovare un buon lavoro e mi preoccupavo se mio figlio potesse andare o meno a scuola”. Ma anche un senso di fiducia. “Spero che questa malattia vada via al più presto e non torni mai più. Spero di continuare nel mio percorso di formazione professionale, per trovare un lavoro e stabilizzare la mia vita”.
Mentre M., affetto da una grave patologia polmonare, ha dichiarato: “Ho paura che non sia ancora finita. Ma ora sono più contento perché il governo italiano mi ha aiutato e sono riuscito a fare il vaccino. Adesso mi sento più protetto”.